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I concetti di stress e distress

Lo stress è tensione, ed è tensione positiva, anche detta eustress, se chiama a raccolta tutte le nostre capacità, di attenzione e di concentrazione, e tutti i nostri saperi acquisiti per realizzare un obiettivo importante. Tipico il caso di un esame scolastico o di un colloquio di lavoro: sotto stress (eustress) si riesce a dare il meglio. Dunque lo stress positivo ha una finalità ben precisa e una breve durata. Dopo una fase di stress possiamo poi, con opportune modalità personali, realizzare una fase di relax, di rilassamento mentale e fisico che ci ritempra e ci consente il recupero di energie e l’apprendimento nuovi saperi.
Il distress è uno stress che non ha un obiettivo limitato, definito e delimitato nel tempo. La persona in questo caso è costantemente sotto tensione, al limite estremo delle proprie energie. Non si danno tempi di recupero, momenti di relax volti a ritemprare le forze. Il distress dà luogo a patologie vere e proprie sia a livello organico che a livello psicologico (ansia, angoscia) e sociale ( irritabilità, indisponibilità).
Il caregiver, responsabile 24 ore su 24 di una persona in grave e progressivo declino cognitivo, rischia di entrare in distress, soprattutto se è un familiare perché in tal caso il coinvolgimento emotivo è fortissimo.
Che fare? Intanto esserne consapevoli, inoltre  condividere il carico delle responsabilità, sia su singole questioni, sia prendendosi tempi per sé.
Sembra facile, in realtà uno degli ostacoli è la mancanza di fiducia negli altri. Generalmente tendiamo a fare in prima persona obbedendo al proverbio “Chi fa da sé fa per tre”, ma “fare per tre” è impossibile! Coltiviamo una fiducia a ben vedere, non una fiducia assoluta ma una fiducia ragionevole negli altri, negli altri familiari, negli operatori. Una fiducia che ci consenta di staccare per recuperare lo stress, una fiducia vigile che ci eviti il rischio, gravissimo,vdel distress con il suo corollario di insonnia, angoscia e irritabilità per tacere delle patologie organiche.
Condividere la responsabilità di una decisione come quella di assumere una persona convivente implica tempi forse più lunghi, tempi dedicati a considerare quando e come e chi affiancare al proprio caro in fragilità: implica che nessuno si arroghi in prima istanza la sicurezza di sapere quale senz’altro sia LA soluzione. È possibile riflettere con i familiari sul carattere e sulla storia personale della persona non più autonoma, approfondire anche il tema delle esigenze collegate alla situazione abitativa e alle disponibilità economiche. È importante informarsi da esperti della patologia così come è in atto e come sarà nelle fasi successive.
Prendere decisioni è un processo articolato che non va percorso in solitudine e non va affrontato sotto l’emozione della paura e nella condizione di uno stress protratto.
Per ciò che concerne il tempo, è di fondamentale importanza ritagliare un tempo per sé, di recupero. Ciascuno può scegliere se dedicarlo alla lettura o a una passeggiats in natura, o all’ascolto di musica o alla visione di un film.
Importantissimo infine è il tempo delle relazioni: uno dei fattori di rischio per le patologie della mente è indubbiamente la scarsità di relazioni ricche di umanità. Conservare un tempo per una libera conversazione è di fondamentale importanza. Occorre evitare la trappola di essere visti solo come parenti di un caso clinico, e questo vuol essere un invito pressante a tutti: incontrando l’ amico che ha la mamma in Alzheimer, non chiedere come prima cosa “Come sta tua mamma?”, semmai “Come stai? Cosa hai fatto di bello ultimamente?”. Questo è senz’altro un ottimo inizio!
Consuelo Farese  

                                                  

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