La dimensione sociale è una delle condizioni essenziali dell’uomo.
Essere parte di una famiglia implica essere informati delle situazioni in essere e di quelle prevedibili, sapendo anche che, se si darà una condizione imprevista, l’informazione sarà condivisa e commentata. Sembra tutto molto normale ed evidente, eppure, dal momento che le facoltà dell’anziano declinano per un declino naturale dovuto all’età o per una patologia degenerativa, ecco che la persona potrà essere via via esclusa da tutta una serie di informazioni e di azioni. Motivo: non è in grado di comprendere o di sopportare l’impatto emotivo o di agire per supportare la famiglia.
Ebbene, se riconosciamo che in famiglia stiamo agendo in tal modo, sarà necessario sviluppare una riflessione e invertire la tendenza. La mancata condivisione, il segreto e il silenzio tolgono alla persona la sua appartenenza, la sua identità, la sua dignità, la fanno sentire una nullità: in una parola sola, la annientano.
Condividiamo dunque le informazioni che riguardano la famiglia e ogni suo membro, facciamo in modo che l’anziano assista agli scambi di riflessioni tra i membri. La sua presenza sarà senz’altro importante: può darsi che la persona anziana non sia in grado di cogliere il contenuto dell’informazione, potrà però coglierne gli aspetti emotivi, e inoltre, la sua presenza indurrà gli altri a controllare meglio i contenuti e i toni della conversazione.
Per fare un caso concreto: il figlio minore rischia di ripetere l’anno scolastico e in famiglia si stanno elaborando emozioni e strategie. L’anziana nonna può non poter portare il suo consiglio, può nelle ipotesi degli altri famigliari sentirsi triste e afflitta. Eppure, anche se si sentisse afflitta, lo sarebbe per un motivo preciso, non per il sentirsi esclusa e inutile a prescindere. E anche se non potesse portare consiglio, potrebbe senz’altro affiancare il nipote durante lo studio per esempio, ricordandogli con la sua sola presenza che non deve dedicare il suo tempo solo ai social ma anche allo studio e assicurando al ragazzo il suo incondizionato affetto.
Questo esempio può essere esteso ad altre situazioni, talune ben più gravi: ricordiamo che escludere qualcuno dalle informazioni e da una partecipazione anche per ipotesi marginale, significa annientare l’altro nella sua umanità.
Infine, per concludere, un argomento che nella consuetudine e nella cultura italiane non trova quasi spazio: condividere con la persona in demenza l’informazione che essa è affetta da una specifica patologia quale per esempio l’Alzheimer.
Si suppone che questa informazione faccia solo del male, getti nello sconforto. Per questo né i medici né i familiari sono disposti ad annunciare: “I test dimostrano che Lei ha una forma di demenza degenerativa”. Ma, è questa è una domanda che dobbiamo porci: “Quanto questo silenzio, che diventa bugia, è un compito che noi non vogliamo assumerci perché per noi troppo pesante?” e ancora: “Quante omissioni e bugie porterà con sé questa prima omissione?” e: “Quanto questo peserà nell’esperienza e nella quotidianità di tutti?”.
La questione dovrebbe essere: come comunicare, senza generare disperazione, un’informazione pesante ma di capitale rilevanza? Ci auguriamo di poter avviare un dibattito e forse un cambiamento culturale segnalando che in altre culture le informazioni di cui sopra non vengono taciute.
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