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Conoscere se stessi è conoscere gli altri – La tristezza del tuo caro.

ARTICOLO DI CONSUELO FARESE

Co-Founder La Happy Care

La tristezza è una emozione debole eppure è generalmente difficile da vivere e da accettare. La società ci vuole tutti felici e se siamo tristi ci sentiamo un poco in colpa ma soprattutto ci sentiamo in difficoltà se un nostro caro è triste: vorremmo fare di tutto per distoglierlo da questo stato. Se avvertiamo che un figlio o una figlia, o in genere un nostro caro che sperimenta un momento di tristezza, subito gli proponiamo visioni positive del mondo e attività che riteniamo gioiose – e che forse non sono le più gradite in quel momento.

Eppure la tristezza è una emozione importante e non va negata: negarla è come negare la persona stessa.

Gli aspetti positivi, adattativi, della tristezza sono importanti: ci segnalano che qualcosa è cambiato e che di fronte a noi abbiamo la necessità di considerare con attenzione il cambiamento e di cambiare stili di vita e assetti nella quotidianità. Esserne consapevoli e rendere consapevoli gli altri è un passaggio importante e aiuta a non sprofondare nella tristezza, che questo è senz’altro negativo e rischioso.

Nelle persone con decadimento cognitivo significativo e progressivo la tristezza è un clima emotivo frequente, soprattutto nelle prime fasi. All’inizio della patologia la persona si rende conto che le sta succedendo qualcosa di grave che limita la sua autonomia. Per il caregiver questa tristezza appare un peso aggiuntivo nel già impegnativo compito di cura, ecco perché spesso cerca di bloccare questa emozione distraendolo o proponendo una visione rosea di eventi trascorsi. È la reazione che abbiamo anche di fronte a un bambino che attraversa un momento di tristezza perché non riesce a fare o ad avere qualcosa: deviare la sua attenzione e proporgli ciò che invece può fare oppure che ha già. Come si è scritto più sopra tuttavia questa opera di distrazione nega in qualche modo la persona, a maggior ragione se non è un bambino ma un adulto, sia pure in fragilità.

Che fare dunque? Accettare di parlare dello stato emotivo e delle ragioni che lo hanno suscitato è un buon modo di affrontare questi momenti di tristezza. “Sei triste? Perché?” è una leva importante per dare valore alla persona. L’ascolto attivo, volto a cogliere non solo l’espressione verbale ma anche l’atteggiamento del volto e del corpo farà sentire la persona al centro dell’attenzione, gli darà valore e allevierà il suo stato emotivo.

L’ascolto attivo come leva per fare uscire dal senso di solitudine e di impotenza: questa è una modalità positiva che dà valore alla persona e trasmette il messaggio “Non sei solo, puoi contare su di me”. 

Un altro importante aspetto di questo ascolto è la possibilità di raccogliere la storia della vita dell’altro, per poter interagire con più facilità proponendo attività gradite, per conservare memorie familiari nel caso sia un nostro caro. Se è possibile le fotografie di famiglia possono essere un aggancio alla narrazione.

Solo se proprio la persona tende ad avvitarsi nella emozione e a non uscire dal suo stato di tristezza, solo allora, e solo dopo averle donato la nostra piena e partecipe attenzione, allora potremo proporre un diversivo, per esempio se possibile una breve passeggiata. Muoversi nella natura osservandola è una cura alla portata di tutti, soprattutto in campagna, ma anche nelle città sono presenti parchi e giardini non completamente immersi nel traffico. 

La natura cura e dà un benessere senza contrindicazioni.

Per approfondire: Marco Fumagalli, Laura Lionetti – La storia della mia vita: Raccogliere la vita delle persone con demenza – Maggioli Editore

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